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Jacques
Fred Petrus
INTERVISTA
CON JACQUES FRED PETRUS
Da
Sandro Baroni e Nicola Ticozzi
Q:
Quando e come è arrivata la Disco Music in Italia?
A:
Potrei ripercorrere quella che è stata la mia «evoluzione»,
legata al mondo della Disco Music. Da ragazzo ero collezionista
di dischi, avevo tutti i prodotti di rhythm and blues e soul
che uscivano, poi ho messo a frutto il bagaglio musicale accumulato
iniziando, dieci anni fa, a fare il disc-jockey al «Good Mood»
di Milano, allora era veramente una discoteca valida, poi
mi sono reso conto che non potevo fare per tutta la vita questo
tipo di lavoro. Ho incominciato a importare dall'America,
dove avevo trovato una ditta specializzata, i dischi per discoteca.
Inizialmente i quantitativi erano minimi, due colli per settimana,
anche perché mi mancava il capitale da investire. I dischi
erano sufficienti per me e pochi altri amici DJ, il «commercio»
era circoscritto a qualche discoteca (Nepentha, Charly Max
...) poi si è esteso. Ho incominciato a vendere i dischi anche
a qualche fans del locale che trovavano snob avere a casa
propria in esclusiva i dischi appena usciti in America e che
solo pochi DJ conoscevano. Circa sei anni fa ho creato una
società, la «Goody Music», che per prima ha iniziato a commerciare
dischi di Disco Music. In Italia esistevano già due importatori,
Carù e Ronchini di Parma, che però non erano mai stati interessati
a questo genere perché era un campo difficile: bisognava essere
sempre informatissimi e conoscere il gusto e le esigenze musicali
dei DJ, si dovevano poi scegliere e importare i pochi prodotti
validi di un mercato magmatico. L'interesse delle discoteche,
che a quel tempo tornavano ad avere un ruolo importante, verso
questa iniziativa era notevole perché i DJ non dovevano affidarsi
più alle case discografiche italiane ma potevano programmare
gli stessi dischi dei «mitici» DJ degli USA.
Q:
Quali sono i motivi per cui la Disco Music ha attecchito così
bene in Italia?
A:
All'inizio la Disco è stata snobbata da tutti: dalle case
discografiche che erano scettiche e dai giovani che preferivano
il genere pop/rock. Poi è diventata importante perché le discoteche,
e in seguito le radio private, sono state un'ottima pubblicità,
un efficace mezzo di penetrazione: i giovani andavano a ballare
e sentivano per ore e ore questo tipo di musica. Siccome conoscevamo
il mercato discografico e i più efficaci mezzi di promozione,
quando è nata a Milano la prima radio libera l'abbiamo subito
appoggiata con sponsorizzazioni di trasmissioni di musica
da discoteca. Altre emittenti sono nate e si sono ispirate
a quelle già esistenti... così tutto il paese è stato coperto
e inondato da programmi di Disco Music e il pubblico ha iniziato
a conoscerla e ad apprezzarla. Un genere di puro divertimento
come la Disco ha trovato un terreno adatto, perché i giovani
hanno mostrato di interessarsi sempre meno ai problemi della
società. Nei testi dei cantautori e dei gruppi rock si parla
di cose che ora interessano poco, quando un ragazzo ascolta
un disco o va ad un concerto vuole divertirsi e dimenticare
i problemi di tutti i giorni.
Q:
Perché dall'importazione avete spostato la vostra attenzione
alla produzione di Disco Music?
A:
Anche quando importavamo solo dischi avevamo un metodo di
lavoro professionale e «industriale»: dal rifornimento agli
amici siamo arrivati a rifornire le radio e le discoteche
di tutt'Italia, da negozio siamo arrivati ad una catena di
negozi, occorreva un salto di qualità perché vogliamo migliorare
continuamente. Prima controllavamo totalmente il mercato poi
è arrivata sulla nostra scia la concorrenza, un po' come è
successo con i jeans. Sono nate un sacco di fabbrichette,
così le prime, quelle più affermate, hanno incominciato a
produrre, sfruttando l'esperienza e la fama, altri capi d'abbigliamento.
Ora c'è l'inflazione del disco d'importazione e questa attività
ha preso una piega artigianale perché bastano pochi soldi
per mettere su un negozietto dove vendere dischi. Per fare
questo salto di qualità occorrevano certe basi, così abbiamo
preferito attendere che tutti gli elementi ci soddisfacessero.
Abbiamo cercato i musicisti, gli studi di registrazione e
di missaggio, il produttore e i tecnici più adatti perché
non volevamo fallire, non ci interessava un limitato successo
nazionale, volevamo conquistare il mercato internazionale.
E un anno fa iniziavamo con Macho la produzione Goody Music.
Q:
Macho e Peter Jacques Band si sono affermati in tutto il mondo,
come è successo?
A:
In una certa misura ci aspettavamo una risposta positiva del
mercato. Il disco “I'm a man” del gruppo Macho è stato sicuramente
il primo prodotto discografico fatto da italiani con musicisti
italiani a raggiungere un successo intercontinentale: è arrivato
al quinto posto nelle classifiche di vendite Disco Music in
USA e nei primi posti in Giappone, Europa, Brasile, Argentina.
Avevamo studiato tutti gli elementi e avevamo seguito accuratamente
Mauro Malavasi che aveva mostrato di possedere tutte le caratteristiche
per diventare uno dei più affermati produttori del mondo,
gli occorrevano però i mezzi e noi glieli abbiamo dati non
badando a spese, siamo andati a fare i missaggi nei migliori
studi del mondo per la Disco, i mitici «Sigma Sound Studio»
di New York. Fire night dance della Peter Jacques Band è stato
un altro supersuccesso, abbiamo voluto dimostrare al pubblico
internazionale che i nostri successi non erano frutto del
caso ma erano il risultato di una precisa e seria politica
discografica. I discografici USA sono stati scioccati davanti
a due dischi prodotti da una piccola casa discografica in
classifica, due dischi fatti da musicisti italiani coordinati
da un produttore italiano! Tuttora all'estero sono scettici
sul «made in Italy».
Q:
Nel mercato della Disco Music è molto importante il lasso
di tempo che intercorre tra l'uscita del disco e l'inizio
dell'eventuale scalata delle classifiche, come si sono comportati
i vostri dischi?
A:
I nostri due prodotti sono saliti subito in testa alle classifiche,
Macho è stato addirittura un fenomeno incredibile: in tre
settimane dall'uscita è arrivato al quinto posto, mentre,
ad esempio, Donna Summer arriva anche al primo posto, ma ci
impiega più del doppio. Peter Jacques Band è arrivato sino
ad ora al sesto posto. Il fatto è che i primi venti dischi
della classifica sono validi così le variazioni sono molto
lente e «sofferte». Q: Quale è il metodo di lavoro della Goody
Music? A: Nei nostri dischi c'è l'esperienza di una ditta
d'importazione che da anni vive a contatto della produzione
mondiale di Disco Music. Conosciamo a fondo la musica da discoteca
e quelle che sono le esigenze dei DJ, un continuo contatto
con gli acquirenti ci ha fatto comprendere che cosa piace
di più alla gente: se la melodia, le parole o il ritmo. Così,
sapevamo quello che il pubblico voleva e noi lo abbiamo realizzato.
Non abbiamo lo spirito del musicista che dice: «Voglio fare
un disco secondo il mio gusto. Io ho delle idee giuste e sono
gli altri che non capiscono niente». Si possono spendere anche
trecento milioni per fare un disco, tu immagini che sia un
capolavoro, ma poi il pubblico lo rifiuta perché non è stato
fatto assecondando il suo gusto.
Q:
Quali sono le caratteristiche di un successo di Disco Music?
A:
Ora non è solo più il ritmo a dare il successo. Il mercato
è in continuo sviluppo ed escono una quantità incredibile
di dischi, basti pensare che Billboard ha allungato la classifica
Disco di venti posti perché i successi sono numerosi e in
questo mare di vinile occorre differenziarsi. La gente, ora,
vuole le melodie, desidera ascoltare cose «belle» che rimangono
in testa. Le musiche che ascolta in discoteca o alla radio
deve poi poterle fischiettare, il pubblico vuole sentirsi
più partecipe. Ora nella Disco occorrono più melodie che ritmo
perché sono le parole e i motivi orecchiabili che rimangono
in mente.
Taken from the booklet Disco music
(guida ragionata ai piaceri del sabato sera)
Published
by: Arcana editrice (Roma, 1979)
Special
thanks to Paolo Caroselli for supplying the JFP interview.